Dal KV 517 “Die Alte” al KV 519 “Trennungslied”, passando per la neutralità cronologica del KV 518 (quasi una progressione matematica di note), Mozart attraversa nuovamente intere epoche, un po’ per amor di satira e un po’ per chiaroveggenza.
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Con il lied “Abendempfindung” (sentimenti vespertini), Mozart ci porta oltre nel tempo di una quarantina d’anni con un’opera la cui tristezza è già da sola ben lontana dal ‘700. I semplici ed eloquenti intarsi del pianoforte (non riusciamo a immaginarci qui un fortepiano) tornano e ritornano come un leitmotiv lungo tutto il brano, che potrebbe apparire strofico a una prima impressione e invece si compone di più episodi musicali a commento del testo.
Altro giro, altro confronto con i Romantici: Schubert (Leise flehen meine Lieder D 957) e Brahms (Nicht mehr zu Dir gehen op. 32 n. 2) si impongono qui, al pari di Mariottide, come maestri della tristezza. Le accorate note ribattute di Schubert portano subito la musica sul sentiero dell’elegia nobile:
Nel caso di Brahms l’atmosfera si fa persino lugubre:
Alla serietà dei Romantici fa riscontro l’impertinenza di un Mozart che, proprio in questo periodo, li sta anticipando con la Fantasia KV 475 – ormai slegata dall’influsso di C.P.E. Bach e rivolta a un futuro tutt’altro che prossimo – ma si diverte con questo lied ancora più malizioso di quello esaminato ieri.
Per una volta la tonalità di sol minore non indica affanno, qui il falso allarme è evidente: una fanciulla avverte le amiche di non fidarsi di Damoeten e di non dargli confidenza, tanto più che se l’è già accaparrato lei. “Il mago”, titolo della canzone, fornisce lo spunto per un melodizzare vivace e stranito, bizzarro fin dalla battuta iniziale (scala di sol minore in valori diversi con effetto di sospensione).
Con i brani per voce e pianoforte KV 520 e KV 433, Mozart fonde la sua passione per l’opera con la riservatezza del lied. Ne escono di fatto una grande scena teatrale e un’aria d’opera buffa che avrebbe potuto trovare ospitalità nel Ratto; la penna del compositore corre irresistibilmente attratta dal palcoscenico, al punto da trasformare il pianoforte in un’orchestra vivida fin dall’introduzione.
Per quanto sfolgorante, la canzone che descrive il dolore di Luise che brucia le lettere dell’amato è d’una concisione ammirevole. Come in das Veilchen (che pure è superiore a questo pezzo), le immagini del testo sono volte in potente musica, cosicché il fuoco in cui ardono le missive diventa un mulinare di biscrome, e l’apertura e la chiusa affidate al piano e quanto mai simili sono un altro bel colpo d’ingegno che a me ricorda il terzo atto della Bohème, quando si trova un’analoga somiglianza tra la prima battuta e quella di chiusura, quasi si volesse separare l’oggetto musicale da ogni altra cosa, quasi fosse un capitolo, o un mondo a sé.
Più terra terra senz’altro, l’arietta “Männer suchen stets zu naschen” doveva probabilmente far parte di un singspiel (“Il servitore di due padroni” in versione tedesca). Dal momento che Mozart ha solo abbozzato la parte orchestrale, è venuta comunque comoda una riduzione per piano. Per quanto semplice, non le si può negare un certo brio e una vivacità che la legano spontaneamente all’autore. Ingenuità maliziosa (o ingenua e piena di malizie, per dirla con Elio):
La versione per piano e canto è stata pubblicata per la prima volta nel 1799 ed è improbabile che fosse di Mozart. Per non scontentare nessuno, la Complete Mozart Edition l’ha pubblicata sia come aria per basso (completata da Erik Smith) che come lied, confermando di fatto il carattere non ben definito del pezzo, che ad ogni buon conto era destinato a un singspiel.
Non tutti conoscono i lieder di Mozart (alcuni ignorano anche che ne abbia scritti), opere nate quando ancora non era sorta l’alba di un genere che avrebbe visto frutti meravigliosi e abbondanti con la produzione schubertiana e brahmsiana. Proprio con questi due autori, però, vorremmo azzardare un confronto: se Mozart certo non anticipò – se non di rado – i capolavori del Romanticismo nel campo del lied, pure scrisse qualche composizione significativa per tenere alto l’onore del Classicismo.
Cominciamo con una vetta di Schubert, il lied “Gretchen am Spinnrade”, dove l’accompagnamento pianistico rende in modo geniale sia la tensione del testo quanto il movimento circolare dell’arcolaio:
E poi lasciamo la parola a Brahms, con Ständchen:
I due capolavori liederistici mozartiani (Sehnsucht nach dem Frühling KV 596 e Das Veilchen KV 476) sono di tipo totalmente diverso, sia l’uno rispetto all’altro che in confronto ai due lieder precedenti: più popolare e amato il primo, basato su una canzoncina che Mozart amplia con una maliziosa codetta, non renderà con accenti ancora adeguati un concetto complesso come la Sehnsucht (ovvero la nostalgia di un sentimento che dev’essere ancora provato), ma il pezzo è comunque perfetto per rappresentare il terzo stile mozartiano, essenziale e melodico al massimo grado; il secondo raffigura in note una poesia di Goethe, e qui si capisce che Mozart avrebbe potuto rivoluzionare il genere se avesse scelto altre volte testi di autori all’altezza.
Rispetto alla Fantasia KV 594, la sorella KV 608 ne condivide la struttura, che tuttavia è rovesciata nella disposizione dei tempi: là due Adagi incorniciavano un Allegro, qui è il preciso contrario. La tristezza che si respirava nei movimenti estremi si riversa tutta su quello centrale, quasi a voler ritentare la stessa strada precedente, ma con mezzi differenti.
Le due Fantasie KV 594 e KV 608, entrambe in fa minore, sono opere della profonda maturità mozartiana, serissime per concezione e stavolta perfettamente compiute – e non solo nel senso letterale – si dividono in tre movimenti ciascuna, distinguendosi però dalle sonate dell’epoca per il fatto di riprendere nel finale i temi del primo tempo. Un percorso ciclico rarissimo in Mozart, non infrequente invece nelle opere dei suoi contemporanei (se ne trovano buoni esempi in Haydn).
Qui per quintetto di fiati, la Fantasia KV 594 comincia con un bell’Adagio raccolto, non tragico nonostante il fa minore (anzi molto sereno), seguito da un allegro più vivo al punto da lambire le soglie dell’entusiasmo, quasi ad ampliare le sensazioni positive del primo movimento. La versione qui segnalata mette chiaramente in risalto questo ottimismo non altrettanto avvertibile con le sonorità dell’organo. Anche il contrappunto è gioioso, direi più di marca handeliana che non bachiana.