Evidentemente questi tempi son propizi per le presunte novità, dato che il ritrovamento (che poi un vero e proprio ritrovamento non è, come vi spiegherà per benino la scheda in proposito offerta dal sito suddetto) segue di pochi giorni l’acquisizione, da parte del Mozarteum stesso, d’una missiva di Leopold e altre due di Wolfgang i cui autografi erano finora inaccessibili agli studiosi, al pari della musica del KV 626b/16; arivedi il sito di prima per maggiori ragguagli.
Sì, ma la musica finalmente ascoltabile dopo anni di silenzio? Eccallà, come avrebbe detto Albertone: 70 battute e 94 secondi di Mozart autentico e inedito, un Allegro classe 1773 (primi mesi di quell’anno, ci dicono dalla regia), con qualche reminiscenza e/o autocitazione abbastanza percepibile. La più evidente, per chi proprio cerca il cane nella minestra, si trova in una Sinfonia pressoché coeva, la KV 128 (la beccate nell’esposizione del 1° movimento). Che questa musica esistesse si sapeva in realtà da parecchio, ma in precedenza si trovava in possesso di collezionisti privati rigorosamente e impietosamente sordi alle sirene dei completisti musicofagi.
La curiosità attanaglia? E allora favoriamo e agevoliamo il filmato, anzi il suonato (per chi volesse saltare l’introduzione e le varie interviste di rito, il consiglio da seguire è partire subito dal minuto 2:58 del video):
L’entusiasmo per l’inedito che rispunta dalle nebbie proprio in coincidenza del 230° anniversario di Mozart non ha, per il momento, dato a qualche casa discografica il destro per incidere una nuova opera omnia annunziata dai consueti squilli di clarino, magari adducendo come scusa il fatto che il numero 230, pur non essendo una cifra tonda, è comunque un multiplo di 10, ma il punto è un altro.
Dopo una ventina d’anni di scoperte e riscoperte vere o finte, abbondantemente documentate e qualche volta verificate, da mozartiano accanitissimo ho ormai fatto il callo alle notizie sensazionali per frammenti di 5 battute uscite dall’ombra o concerti di amici e colleghi cui Mozart avrebbe aggiunto le parti dei timpani, dell’ottavino o del basso tuba. Il pezzo ritrovato in questione è caruccio e gajardo, come dicono in Val d’Aosta, ma pur essendo completo sa d’incompiuta: di solito, quando Mozart espone un tema, lo sviluppa e lo evolve per benino, anziché lasciarlo al gatto dopo appena un minuto e mezzo (una durata che, per giunta, è artificialmente gonfiata dalle ripetizioni di rito). Basti confrontare il nuovo arrivato con i pezzi isolati mozartiani per tastiera non composti in tenera infanzia (il Rondò KV 485, l’Adagio KV 540 o il Rondò KV 511 sono i primi esempi che mi vengono alla mente).
Perciò, sulla compiutezza del brano è d’uopo nutrire qualche dubbio, puntualmente corroborato da una spulciata al catalogo Köchel (pag. 738), che alle 70 battute in questione dedica poche ma significative parole:
«626 b/16: Henrici, Aukt. 127 (18./19. Jan. 1928) Nr. 577. 1 BI., Querformat, 1½S., 12zeilig. “Vermutlich Skizze zu einem Orchester- oder Kammermusik-Satz D-dur ¾ Allegro. Früher bei Aloys Fuchs.”»
In parole povere il pezzo, passato dalle mani di Aloys Fuchs al catalogo d’asta di Karl Ernst Henrici, sta tutto in un foglio (Bl. = Blatt) in formato orizzontale, 12 righi, “presumibilmente abbozzo di una composizione per orchestra o da camera in re maggiore, 3/4, Allegro”; dunque non sembrava neppure un pezzo destinato alla tastiera, come del resto suggerisce l’inizio con quel tema a note fitte e ribattute, più adatte agli archi che a un fortepiano.
Così, davanti alla parola “abbozzo” ci tocca abbozzare, e chissà quanto dovremo ancora attendere per veder risorgere alla luce (e ascoltare) un capolavoro mozartiano completo. Al prossimo giro, magari, farebbe piacere ritrovarci nelle orecchie un concerto inedito* di zecca (va bene anche una sinfonia, eh? Non formalizziamoci). E già che ci sono, a proposito di sinfonie:
* Sembra una pretesa esagerata, ma non sarebbe neppure un caso impossibile: nel 1961 venne ritrovato a Praga il Concerto per violoncello n. 1 in do maggiore di Franz Joseph Haydn; di questa musica, in precedenza, era noto solo il tema iniziale, inserito dall’autore in un suo catalogo.
E non è mica finita qui: nel più recente 1982 ha fatto capolino in quel di Odense una sinfonia in la minore, di autore attualmente ancora da stabilire. Anche se sul manoscritto eran segnate le parole “del signor Mozart”, bastevole per giustificare un KV 16a, per gli esperti l’opera non sa né di Leopold né di Wolfgang, alimentando il sospetto che si tratti d’un falso creato ad arte:
Subito dopo il grande esordio nell’ambito del Concerto per tastiera (o forse appena prima, visto che il periodo di composizione è lo stesso), Mozart torna a scrivere danze (composizioni di corto respiro che l’accompagneranno per tutta la carriera), vergando i sedici Minuetti KV 176 per orchestra, di cui abbiamo anche una versione per tastiera. Tanto curati dal loro compositore quanto neglette dalla discografia (per quanto ne so, nella versione per orchestra li ha incisi solo Willy Boskovsky), questi minuetti misuratamente festosi rappresentano una sorta di pausa rispetto all’esplosione d’estro e di libertà ammirata nell’opera precedente. Di essi, quattro sono privi di trio:
Qui, tanto per farci un’idea, possiamo sentire il primo di questi minuetti eseguito al piano. Questa versione è stata complessivamente più fortunata di quella orchestrale, nonostante debba offrire meno all’ascoltatore sotto l’aspetto timbrico.
Comunque si vogliano datare le Sinfonie KV 199 e 200, è pacifico che la KV 201, una delle più riuscite di Mozart nel genere sinfonico, è stata scritta appena quattro mesi più tardi, ossia nell’aprile del 1774, confermando il cambio di marcia impresso dal compositore alla propria musica.
Nel 1772 Haydn organizza la prima protesta musicale per rivendicare il diritto alle ferie. Nel ‘700 cui siamo abituati, quello dei compositori-servi, non ci aspetteremmo una trovata così arguta, pur senza essere rivoluzionaria, se non conoscessimo l’ironia e l’acume, evidentemente non solo musicale, di un genio senza sregolatezze nel comportamento, amante della burla (come dimostrano i numerosi giochi ritmici che disorientano l’ascoltatore) e noto per essere uno dei grandi compositori di maggior buon senso tra i geni dell’arte musicale.
Per tre movimenti la sua Sinfonia n 45 funziona come una sinfonia normale, se si eccettua la tonalità piuttosto inconsueta di fa# minore (si tratta presumibilmente dell’unica sinfonia del ‘700 in questa tonalità). Nessuna differenza spirituale né caratteriale si avverte, tuttavia, tra questa o una qualsiasi altra opera haydniana scritta in modo minore; confrontiamola con la n. 52 dell’anno prima, e avremo gli stessi temi secchi, scattanti nei movimenti estremi. Non dobbiamo quindi aspettarci alcuna anticipazione romantica dall’autore più classico che si possa immaginare.
Il primo tempo è munito di un solo soggetto, un gesto accordale discendente e rabbioso che occuperà col suo rigido nervosismo tutta l’esposizione (a fargli da contraltare troveremo solo il dolce e breve motivo che avvia lo sviluppo). I larghi intervalli che caratterizzano l’incipit hanno campo libero per gran parte del brano:
Il secondo movimento (la maggiore) è molto più sfumato, ma anche più suadente nel suono e nel periodare: rispetto al tempo precedente sembra di ascoltare un’altra composizione, ma il tono è tutt’altro che sereno. Una melodia introdotta da acciaccature-singhiozzi si incammina verso sentieri dall’atmosfera ovattata, senza mai sorridere, e talvolta s’interrompe in modo quasi angoscioso.
Non è disteso neppure il Minuetto, che pur essendo in (fa#) maggiore sembra riprendere l’ansia già espressa dal brano precedente, sfociando in un Trio pulsante e d’intensità quasi religiosa.
La sinfonia, dicevamo, si comporta a dovere per tre movimenti. Nel quarto tutto sembra filare per il verso previsto, perché abbiamo un Presto nella tonalità di base, per giunta facilmente riallacciabile, nel suo monotematismo angoloso e indomito, al primo movimento, quasi a voler suggellare una sorta di doppia personalità della sinfonia, o meglio una doppia unità (l’affinità stilistica tra i tempi estremi contrapposta a quella tra i tempi mediani).
Eppure Haydn aveva in mente una svolta che ha reso immortale quest’opera: un Adagio in cui, dopo un normale svolgimento, gli esecutori abbandonano la scena uno dopo l’altro, frase dopo frase: sicché a suonare rimangono solo in due prima che la sinfonia si spenga. Una trovata doppiamente geniale che convinse il principe Esterházy a concedere le ferie.
Senza questo guizzo, difficilmente avremmo ascoltato l’ultimo tempo di una normale opera di carattere Sturm und Drang addirittura nel bel mezzo d’un concerto di Capodanno del 2009 (anno haydniano):
Azzardando un improbabile paragone per definire la popolarità in Italia di due compositori che ci stanno a cuore, si potrebbe dire che Mozart sta a Joseph Haydn come il Concerto Imperatore sta al Concerto n. 4 di Beethoven: tutti conosceranno, almeno per sentito dire, il nome dell’autore cui è dedicato questo blog, mentre molti non sapranno neppure chi sia questo Haydn. Peggio: l’unica composizione di costui che sia un minimo familiare anche a chi non coltiva la passione per la musica classica, ossia l’inno tedesco, è nota al pubblico grazie alla partite di calcio, ma i più non sanno che è stato proprio Haydn, l’amicollega di Mozart, a comporlo. Con tutt’altre intenzioni, per di più, e per tutt’altro organico. Ma dimmi te, un quartetto per archi! Un genere che, fino a vent’anni fa, pensavo fosse il più noioso al mondo:
Tornando al paragone di partenza, chiunque abbia collezionato un minimo di capolavori musicali si sarà imbattuto nel Concerto Imperatore (op. 73 in mi bemolle) fin dalle prime uscite in edicola e ne avrà magari anche memorizzato il volo il tema conduttore, trascinante come si conviene a una melodia che sia divenuta popolare. Per arrivare a cogliere le finezze e la delicata complessione del Concerto n. 4 per pianoforte (op. 58 in sol) occorre superare quella parete di cui parlavo la volta scorsa.
Devo ricorrere narcisisticamente al solito aneddoto personale: il primissimo contatto sonoro con Haydn (dopo aver letto parecchio sul suo conto, a furia di acquistare biografie mozartiane) l’ebbi solo nell’estate 1993: ero un collezionista furibondo già da due anni e avevo finito di ascoltare l’opera omnia di Mozart un mese prima.
Accomodai sul piatto il mio primo CD haydniano (vedi qui sopra), convinto di fare la conoscenza di un compositore minore*. Non avevo mai sentito nessuna sua musica in un film o in una pubblicità, ergo doveva esser un minore per forza!
* In realtà il primo compositore effettivamente minore che le mie orecchie abbiano ascoltato è stato Johann Stamitz con i suoi Trii orchestrali (vol. 1), grazie alla benemerita Naxos, ma questa è un’altra storia.
Rimasi moderatamente soddisfatto di quelle sinfonie, ripromettendomi di prendere qualcos’altro in un prossimo futuro per farmi un’idea più precisa. Una ripromissione che venne mantenuta quattro mesi più tardi con altre sinfonie e, in particolare, un cofanettone che – complice l’esecuzione filologica e, quindi, molto più dimessa e “moscia” rispetto a quelle cui ero abituato – mi deluse alquanto.
Naturalmente Haydn rimase un compositore di sinfonie e basta ancora per un po’, alla faccia della sua sterminata produzione. Finché, nel dicembre ’93, non mi capitarono sotto mano cinque dischi della Licorne che fecero esplodere la passione anche per la musica del compositore di Rohrau: in quei CD figuravano alcuni quartetti (tra cui quello col famoso inno prima austriaco e poi tedesco) e un manipolo di concerti, ma i piatti forti del boxino erano le nove sinfonie ivi raccolte, una più bella dell’altra (gli Addii, Lamentatione, Salomon, il Fuoco, l’Imperiale, le n. 95 e 97, ecc.).
Naturalmente il compositore di trii e sonate era ancora parecchio di là da venire, nonostante le lodevoli iniziative della filodiffusione. In quegli anni lì fu proprio quest’ultima, infatti, a presentarmi per la prima volta una sonata haydniana, o meglio il suo ultimo movimento, Mi ricordò molto vagamente il Rondò alla turca ma, dal basso della mia inesperienza e avversione per tutto ciò che non era popolare, lo trovai deboluccio:
Più che contemporaneo, potrebbe sembrare un doppione: o almeno questo è quel che si può pensare quanto saltano all’occhio le date di questo autore tedesco (1756-1792) trapiantato in Svezia e scoperto dalla benemerita Naxos, che ne ha pubblicato l’integrale sinfonica e diverse composizioni cameristiche.
Benché sia nato nella bavarese Miltenberg, è soprannominato il Mozart svedese (o il Mozart di Odenwald). L’interesse per questo compositore nasce in genere da una semplice curiosità anagrafica, ma certo non si esaurisce qui, dal momento che la sua produzione sinfonica è uno scrigno di capolavori e anche la sua carriera operistica ha segnato vette che meriterebbero una maggiore attenzione discografica; per esempio ci sarebbe da incidere Enea a Cartagine (Aeneas i Carthago), ardente e violentissimo dramma-manifesto dello Sturm und Drang (movimento in cui si inserisce del resto tutta la grande musica di Kraus).
Chi è avvezzo a considerare il ‘700 il secolo della musica innocua e galante deve infatti ricredersi davanti a questo autore. Se si tralasciano le sue prime sinfonie, pegno pagato alle mode dell’epoca, la produzione adulta (1780-1792) lascia sbalorditi per la serietà e il tratto nobile delle sue melodie. O per il loro spirito rovente.
È probabile che Kraus abbia conosciuto Mozart a Vienna ; se non altro doveva essere un suo ammiratore perché:
- in una lettera si compiacque del successo delle Nozze di Figaro;
- rielaborò una marcia dall’Idomeneo;
- nel 1792 scrisse un lied in morte di Mozart (“Öfver Mozarts död”).
Ecco la marcia rielaborata e l’originale:
Chi ha scartabellato la sezione “Capolavori dei contemporanei” ha forse già conosciuto la sua Sinfonia Funebre in onore del re Gustavo III che era stato assassinato. Quest’opera forma un binomio con la Cantata, pure funebre, in cui fremiti rabbiosi si alternano a passaggi di celeste serenità, un po’ come nel Requiem mozartiano di pochi mesi precedente:
Dopo aver completato il Quintetto per archi KV 174, nel dicembre 1773 Mozart scrive il suo primo concerto originale. Finora si era limitato agli esperimenti in questo genere, aggiungendo alla parte della tastiera quella di un’orchestra (o un’orchestrina, nel caso delle rielaborazioni di alcune sonate di Johann Christian Bach); ora invece svela direttamente la propria personalità musicale lasciandosi alle spalle i divertissement, nobili quanto si vuole (il quintetto per archi di cui sopra denotava in effetti un certo impegno, come testimoniano anche i ripensamenti dopo la prima stesura), o l’emulazione del nuovo che avanza (Joseph Haydn).
Con quest’opera è Mozart stesso a creare il nuovo con il KV 175. L’Hocquard definisce bene questa luce che appare dal nulla: “D’un seul coup, le concerto mozartien est né!”:
Il concerto mozartiano è nato davvero di punto in bianco: la sensazione di libertà che sprigiona questa composizione era ancora sconosciuta alla produzione mozartiana precedente. Mentre in un altro capolavoro di quell’anno, ovvero la Sinfonia KV 183 composta appena due mesi prima, era di scena un atteggiamento corrucciato e antigalante, se non proprio rivoluzionario, qui avvertiamo proprio la gioia di comporre che tante volte ancora coglieremo nella musica di Mozart a venire.
È insomma l’unica opera di quel periodo che possa tenere il confronto per ampiezza, intenti e contenuti, con la sinfonia suddetta, confermando un’ambizione che si è appena manifestata e via via s’intensifica: ne saranno una riprova i concerti che verranno in gran copia di lì a poco. Il tutto, tra l’altro, nella cornice di una struttura già equilibrata, che niente ha da invidiare agli esempi futuri del genere: paragonando questo Concerto all’ultimo (KV 595), in cui ogni idea nasce anzi sgorga dall’altra, si ammira la stessa generosità melodica, lo stessa coerenza del filo musicale, la stessa felicità inventiva. La distanza tra le due opere, oltre ai quasi vent’anni di tempo che le separano, la definisce solo il carattere.
Come sono già lontani i tempi dei primi adattamenti: i graziosi temi da manuale di Johann Christian Bach, pure così amabili, fanno luogo a un trascinante fluire di motivi, spunti e riflessioni musicali.
Dopo il movimento lento (Andante ma un poco adagio) di idillico sentire, il cui tema potrebbe stare accanto a quelli dei futuri anzi prossimi concerti per violino, nel finale si ha un’altra potente dimostrazione di creatività illimitata. Mozart dovette ritenere questo brano inadatto al pubblico viennese, dato che nove anni dopo lo sostituì con un Rondò molto più à la mode (KV 382, quasi un concerto in miniatura), giusto per evitare che il fugato che avvia il finale del KV 175 gli procurasse un’indesiderata fama di antiquato, ma noi che non siamo contemporanei e abbiamo recuperato tutto il piacere del Barocco musicale apprezzeremo molto probabilmente più il brano originario del suo sostituto:
Il 16 marzo 1792 Gustavo III viene ferito durante una festa. All’attentato (molti se ne saranno già ricordati) è ispirata l’opera di Verdi Un ballo in maschera, che qualche volta viene rappresentata con alcuni nomi modificati: per esempio Riccardo diventa Gustavo, Anckarström è Renato, ecc. A differenza di quanto avviene nell’opera, il Re non muore subito, bensì 13 giorni più tardi.
“Fedele monarchico“, secondo il Van Boer, Kraus scrisse una sinfonia e una cantata (entrambe denominate “Funebri”) per commemorare Gustavo III. Un commovente aneddoto narrato da Anrep-Nordin e Schreiber e riportato dallo stesso Van Boer ci informa che, durante le prove, “Kraus svenne per l’emozione e solo dopo aver pianto copiosamente, confortato dal principe reggente Carlo, riuscì a ricomporsi“.
Questo detto, la musica conferma il coinvolgimento e l’affetto di Kraus, a cominciare dal primo tempo della Sinfonia VB 148 in do minore (vol. 3 Naxos), un unicum non solo nella produzione dell’autore, ma anche – probabilissimamente – di tutto il ‘700, trattandosi di una sinfonia composta da 4 tempi tutti lenti (Andante mesto, Larghetto, Chorale, Adagio).
Abstract. The fifth string quartet (KV 172) seems more an example of orchestral galant music than of chamber music, beginning with a ‘coup d’archet’ and leaving aside the counterpoint and fugues (whether they be regressive or progressive). The fact is that this soothing atmosphere can’t fly in the face of the seriousness of the genre, so Mozart makes compromises by mixing heterogeneous features: after the calm Adagio, predicting a Mozart key theme (we’ll hear it again in his Bassoon Conerto), the following Minuet ventures into canonic imitations and the original Trio surprises us with its pizzicato passages.
The last movement (Allegro assai) recovers the galant style, though Haydn’s good humour is still far from here…
Segue da quest’articolo.
Il quartetto seguente (KV 172) sembrerebbe virare verso sponde sinfoniche, annunciate dal come coup d’archet di apertura, lasciando da canto il contrappunto e le fughe (all’indietro o in avanti che siano) e attestandosi su temi più galanti e in linea con l’epoca. Il problema è che, dovendo scendere a un compromesso con il genere, l’intento distensivo è contraddetto da un carattere inevitabilmente serioso, costante che – se non altro – almeno nell’opera successiva in minore avrà un senso compiuto. Alla trama melodica serena e garbata dell’Adagio, che anticipa un tema chiave del lirismo mozartiano (lo riudiremo assai presto nel Concerto per fagotto), segue un Minuetto che – ignorando gli avvertimenti dei critici – si rituffa nei meandri delle imitazioni canoniche, prima di offrirci col Trio, e con i suoi pizzicati, l’episodio più originale di tutto questo ciclo di quartetti. Nel finale (Allegro assai) Mozart recupera lo stile galante e un po’ del proprio buonumore, visto che quello haydniano non è propriamente nelle sue corde.
Mozart compose queste opere per esercizio, come dimostra e conferma la loro pubblicazione postuma. Mentre percepiamo e avvertiamo quasi epidermicamente che in moltissimi altri frangenti il nostro autore si divertiva a creare musica, trasmettendo la propria gioia agli ascoltatori, la gravità di fondo che pulsa sistematicamente in questi lavori ci comunica tutta la fatica che questo compito di emulazione poteva comportare in un diciassettenne che, nello stesso periodo, avrebbe dato al mondo le note ribelli e fiammanti della Sinfonia KV 183, come testimonia la cervellotica sigla (173 dB) attribuitale nella sesta edizione del Köchelverzeichnis.
Abstract. At last the final work of the 2nd CD is easily recognisable: it’s just the Symphony in C KV 425 arranged for winds (and transposed in B flat, as wind players like). However, at the beginning of the third CD, we are stuck again in front of the Octet (Divertimento) KV deest in E flat; no problem with the opening Adagio-Allegro molto – a transcription of the first movement from another Symphony (KV 543) -, but what about the other pieces? The second one, “Un poco Adagio”, comes from a Pleyel’s Keyboard Trio (?), while the Menuetto and the final Rondo, no matter how playful, remain a mystery. Who wrote them?
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Segue da quest’articolo, “Variazioni e deviazioni”
La faticosa cavalcata del 2° CD della serie “?Mozart!” si conclude trovando rifugio e conforto in un’opera finalmente identificabile con facilità: “Ottetto (Partita) per un po’ di strumenti (otto) e contrabbasso ad libitum, dal KV 425, in si bemolle maggiore”. A parte il comprensibile trasporto dal do alla tonalità bemollizzata (i fiati sentitamente ringraziano), questa composizione è effettivamente la Sinfonia in do KV 425 “Linz” trascritta per l’amabile complessino del Consortium Classicum.
La confusione torna sovrana e indisturbata all’inizio del 3° CD, con un Ottetto (Divertimento) KV deest in mi bemolle maggiore che sorprende per la lunghezza del suo movimento iniziale. O meglio, sorprende se ci limitiamo a leggere il retro del CD (durata dell’Adagio-Allegro molto di apertura: 10’11”), ma l’accordo tenuto e la discesa di note che segue ci svelano subito che trattasi di un arrangiamento del 1° tempo della Sinfonia KV 543. E dopo? Uno si aspetterebbe il 2° tempo della stessa opera, e invece… Te piacerebbe eh, se fosse così facile! Invece si ritrova ad ascoltare un brano di un’altra composizione (un trio per tastiera) di un altro autore (Pleyel). Quanto al Menuetto e al Rondo conclusivo, si invitano i classicisti e i classicofagi più incalliti del sottoscritto a cavare qualcosina di più d’uno striminzito rango dal buco (il minuetto comincia a 13:58 e il finale a 17:32):
(Continua)
Segue da quest’articolo (“Stop alle danze”).
Assieme al KV 589, come si nota scorrendo l’elenco, ci sono anche due abbozzi per il finale d’un quartetto. Qui è d’uopo aprire una parentesi: la presenza di questi frammenti non può stupire il mozartiano accanito, perché molte composizioni importanti del Nostro si circondano di queste ancelle incompiute, a volte escluse da una sorte più benigna solo perché non sono in stile o perché servivano da riscaldamento alla ricerca d’un tema principale più degno della causa. Ciò che sorprende in questo 1790, però, è che il numero degli abbozzi e dei frammenti supera addirittura quello delle composizioni completate.
Entriamo nei dettagli: il KV 589 è affiancato da un delizioso Allegretto (KV 589a), completo solo per 8 battute in tutte le parti, indovinabile per il rimanente dalla parte del primo violino ed erroneamente indicato come minuetto, visto che ha tutte le caratteristiche di un movimento conclusivo. Il numero di catalogo non parrebbe lasciare dubbi di sorta, no? E invece non sembra trattarsi di una prima versione del luciferino finale del quartetto KV 589, nonostante il parere favorevole dell’Einstein e il fatto che la tonalità sia la stessa (si bemolle); alcuni illustri studiosi (Erik Smith, Alan Tyson) lo accostano per carattere al KV 458, certamente più disteso. In tal caso il numero di catalogo andrebbe significativamente retrocesso:
L’abbozzo KV 589b, assai più breve e anch’esso d’incerta collocazione cronologica, è pure riconducibile alle caratteristiche dei rondò di chiusura. Che si sappia, non ne esistono registrazioni, forse perché la presenza della sola parte del I violino e la brevità dello schizzo scoraggiano un’impresa in tal senso (per non parlare di un eventuale completamento). Al pari del KV 589a, è stato sballottato dai critici fra il 1788 e il 1790, ed è tutto da stabilire che la sua stesura rappresenti una falsa partenza per il finale del KV 590 (con cui spartisce solo il fa maggiore d’impianto). L’ipotesi è anzi improbabile, dato che ha un carattere pacioso mentre – come vedremo subito – l’ultimo prussiano è arroventato da cima a fondo.
Passiamo ora al terzo dei quartetti prussiani (KV 590), che è ancora più accidentato del precedente. Dice bene l’Halbreich quando afferma che “quest’ultimo Quartetto di Mozart rappresenta una vittoria duramente riportata su uno sconvolgente marasma di depressione“: ad un traboccare d’esperimenti ritmici (che letteralmente sgomitano negli sviluppi dei tempi estremi) e alla tensione scaturita dalle dissonanze furiose del Minuetto, par contrapporsi una sola oasi di tranquillità, invero venata di fatalismo e rassegnazione, costituita dall’Andante allegretto.
Tornando al terzo movimento, già in passato Mozart s’era cimentato nella costruzione di melodie fisse e sinistre, ma in un contesto totalmente diverso e naturalmente più ottimista: nel 1772, memore degli studi con Padre Martini, aveva costellato di questi temi disorientanti i minuetti e i trii di alcune sinfonie salisburghesi. Lì si trattava però di stupire il pubblico e di sfoggiare il contrappunto, mentre in un quartetto, che almeno per quell’epoca è il genere privato per eccellenza, la scelta poteva solo avere scopi espressivi, più propriamente di sfogo personale.
(Continua)
Articoli precedenti della serie “1790, ovvero silenzio in sala”:
1 – L’annus horribilis
2 – Clarinetto e archi
3 – Stop alle danze