Segue da quest’articolo (“Il faidate della sonata”)
Se la primavera mozartiana del 1790 abbonda di frammenti e abbozzi per archi e per tastiera, l’estate è dedicata all’opera, o meglio alle opere altrui e più precisamente alla musica vocale, dal momento che la strumentazione di una cantata e di un oratorio di Handel non rientrerebbe francamente nel novero della musica lirica. Per Mozart il restauro musicale non era una novità: nei due anni precedenti era stato già impegnato con la rielaborazione per conto terzi della deliziosa pastorale Acis und Galathea nel 1788 e del Messiah nel 1789, nonché (all’inizio del 1788) di un’aria di Carl Philipp Emanuel Bach tratta dall’oratorio “Auferstehung und Himmelfart Jesu” e catalogata come KV 537d (“Ich folge dir, verklarter Held”).
In tutti questi casi il committente era Van Swieten, il quale evidentemente non era così arretrato né passatista come dicono, se è vero che seguiva fedelmente Mozart nei suoi concerti (a cui fu l’ultimo abbonato) e voleva fargli svecchiare nientemeno che i capolavori di Handel. Le rielaborazioni del 1790 toccano altre due perle del caro Sassone, l’Alexanderfest e l’Ode per il giorno di Santa Cecilia, e nel catalogo mozartiano occupano rispettivamente il 591° e il 592° numero.
Delle due composizioni Mozart ha conservato di fatto la parte riservata agli archi e alle voci (coro incluso, s’intende), mantenendo il basso continuo solo per i recitativi, e nel caso dell’Ode neanche tutti; ha invece fatto tabula rasa delle parti handeliane per i fiati, rimpiazzandole con le sue. Nel caso del suo primo restauro in assoluto per Van Swieten (ossia il KV 537d), aveva riscritto la parte della tromba aggiungendovi quelle del flauto e dell’oboe, ma non si ha traccia in rete di questa rielaborazione.
Chissà cos’avrebbe detto il caro Sassone, sentendo aggiungere alla sua orchestra un manipolo di fiati (o sostituire durante un’aria uno strumento da lui scelto con un altro, pur nel rispetto della linea melodica)? Nell’impossibilità di saperlo, ci accontenteremo giuocoforza del quadro che Poggi e Vallora ci permettono di ricavare nella loro analisi del catalogo mozartiano, con alcune osservazioni e citazioni che attestano il riscontro del committente, del pubblico e della critica: pienamente soddisfatto Van Swieten, che testimoniò il suo apprezzamento in una lettera allo stesso autore; evidentemente interessato il primo pubblico, dato che “per buona parte del XIX secolo, furono le trascrizioni di Mozart a far conoscere e apprezzare Handel in Germania, ben più delle versioni originarie“; perplessa la critica, a cominciare dall’Abert – convinto che Mozart si fosse fatto prendere la mano intervenendo oltre il lecito – per passare a Greither, che definì queste rielaborazioni “stilisticamente ardite, e perciò discusse” e Paumgartner, che rilevò la scomparsa di queste “pur notevoli trascrizioni” dal repertorio moderno.
(Continua)
Articoli precedenti della serie “1790, ovvero silenzio in sala”:
1 – L’annus horribilis
2 – Clarinetto e archi
3 – Stop alle danze
4 – Un quartetto bollente
5 – Sonate fantasma
6 – Frammenti per tastiera
7 – Il faidate della sonata